Le cucine: chi le chiude e chi le apre

C’è chi ha una sola cucina, e pure piccola, chi ce l’ha grandissima, chi preferisce chiudere quelle che ci sono per averne solo una, chi ne ha tante e le mantiene, ma c’è anche chi sceglie di aprirne di nuove. Nel variegato e disomogeneo panorama della ristorazione scolastica  la quantità (e la dimensione) delle cucine influisce nella qualità del servizio mensa? Non siamo in grado di rispondere, ma  attraverso i dati che emergono dal Rating dei menu di quest’anno, sappiamo come cambia la dieta in relazione al tipo di cucine disponibili sul territorio.

Originariamente, quando è nato il servizio di mensa scolastica esistevano prevalentemente le cucine interne alle scuole con i cuochi dipendenti comunali e pasti cucinati e serviti al momento. Poi la crisi economica ha portato i Comuni a ridurre i costi abbandonando la gestione diretta del servizio. Prima era un servizio interno al Comune ora è un’attività o a gestione mista o completamente esternalizzata ad un operatore di mercato.
Il processo di esternalizzazione del servizio mensa, quello che ha trasformato la refezione scolastica in un business, continua, e con esso anche la scure sulle cucine e il personale, un binomio che va di pari passo con la riduzione dei costi per garantire profitti. Così sta succedendo a Como, dove rimangono a casa 48 addetti e si chiudono 4 cucine e così si teme anche ad Alessandria dove sono stati stanziati 500.000 euro in meno per il prossimo bando.

A Terni grazie alla mobilitazione dei genitori si è scongiurato un anno fa, lo smantellamento delle cucine interne ai vari plessi scolastici: ne rimangono 27 per 3.400 pasti. Tuttavia causa una esternalizzazione sempre più spinta culminata nella concessione del servizio e la chiusura di alcune scuole dell’infanzia comunali, si sono perse le cucine didattiche all’interno dei nidi che delle scuole dell’infanzia. Rimane una sola cucina didattica al servizio di tutte le scuole di Terni.

Chi detiene il record delle cucine, tra le città metropolitane, è Roma con 441 per 150.000 pasti al giorno. Un Comune dove in mensa si trovano i piatti della tradizione locale, come abbacchio con patate al tegame, scaloppina di bovino al tegame, saltimbocca alla romana, e ben 6 tipologie di pesce, ma non i bastoncini.

Bologna e Sesto Fiorentino, sono due realtà che hanno il record della ‘cucina industriale’  con il rapporto più ampio tra cucina-numero di pasti al giorno. A Bologna si contano 3 cucine per 25.000 pasti, mentre nella cucina di Sesto Fiorentino se ne producono 7.000 al giorno per servire le scuole di tre paesi. Sesto Fiorentino, però, ha fatto un salto di qualità da quest’anno: ha eliminato tutti i piatti processati per introdurre nuove ricette legate al territorio e alla stagionalità: puré di cavolfiore, muffin di braccio di ferro, pasta al pesto invernale di cavolo nero, passato di zucca e cavolo nero con quinoa, pasta al ragu di cefalo. Un  menu che concepisce l’elaborazione di piatti nonostante la dimensione industriale della cucina, fino ad arrivare a cucinare persino le uova (e non l’uovo pastorizzato), con 14.000 uova fresche da rompere ogni volta che viene servita la frittata a scuola.

A Civitanova Marche invece dove i piatti  da servire sono 1.500 al giorno, di cucina ce ne è una ai minimi termini: 4 addetti per 37 mq. Il fatto è emerso da un’ispezione dei Nas dello scorso dicembre di cui si è saputo solo da qualche settimana. Ci si chiede quanto dovrebbe essere grande una cucina funzionale alla produzione di 1.500 pasti? L’ASUR delle Marche con un regolamento specifico (CE 852/2004) definisce i requisiti minimi delle cucine in ristrutturazione in relazione al numero dei pasti. Il rapporto tra superficie della cucina ed il numero dei pasti è riportato per fasce: da 1.001 a 1.500 lo spazio cucina deve essere da un minimo di 271 a 350 mq. E’ questo il parametro da rispettare per la cucina di una mensa scolastica con questi numeri?  Se da una parte  l’Amministrazione si consuma in un botta e risposta sulla stampa locale sul caso ‘mini-cucina, dall’altra i genitori  per diffondere quella che sembrerebbe un’anomalia (che contribuisce a spiegare il perché alcune famiglie hanno preferito organizzarsi una mensa fai da te) si sono inventati un hashtag #37mqper sulla pagina Facebook  insiemecambiamolamensa.

Ci sono anche Comuni che trovano soluzioni intermedie per cercare, là dove è possibile, di migliorare la qualità del pasto trasportato. Udine, per esempio, è un Comune dove esistono tutte le tre tipologie di pasto possibili: tipologia A con cucina interna alle scuole; tipologia B dove le scuole a cui è destinato il pasto veicolato (in contenitori pluriporzione) sono dotate di cucina parzialmente attrezzata all’interno della quale viene effettuata la cottura della componente secca dei primi piatti (pasta, riso, gnocchi); tipologia C pasto trasportato con monoporzione.

A Genova i genitori chiedono da anni al Comune di aumentare il numero delle cucine, contribuendo a mappare quegli istituti scolastici meglio predisposti per posizione e struttura ad una riapertura, mentre a Verona il sogno di nuove cucine interne alle scuole sembra realizzarsi con il prossimo anno.
A comunicarlo sono stati i genitori che hanno postato la lista delle scuole dove riapriranno le cucine: Primaria Barbarani, Rubele, Rosa, Vialli, Pertini, D’Azeglio, 6 Maggio 1848, Mizzole, secondaria quartiere Santa Lucia, Infanzia Statale Preto; mentre per l’anno scolastico 2019/20 la primaria Le Risorgimento, Milani, Mons. Chiot. L’Agec, la società municipalizzata di Verona che si occupa anche di ristorazione scolastica, non ha smentito la notizia, che rappresenterebbe una svolta nel panorama della ristorazione scolastica italiana.

In sintesi il dato che emerge è che là dove ci sono più cucine distribuite sul territorio ci sono piatti elaborati e apparentemente più appetitosi, e non i soliti bastoncini, pizza e carne processata (polpette, polpettoni, hamburger). Ma il caso di Sesto Fiorentino con i suoi 7.000 pasti e ricette con ingredienti freschi del territorio, che presuppongono un processo di elaborazione dei piatti, pone dei dubbi: che sia possibile cucinare piatti anche in una cucina di grandi dimensioni? che dipenda dalla strategia del Comune e dalla competenza dello chef la qualità di una ristorazione scolastica su scala industriale?