La mensa è tempo scuola, ce l’ha ricordato anche la sentenza della Cassazione sul ‘pasto da casa’. Ma come è possibile trasformare il momento della mensa in un’occasione per fare educazione alimentare all’interno del contesto scolastico? Non è una domanda a cui è facile rispondere. Abbiamo cercato di snocciolare la questione con Cristina Manzini, psicologa esperta di progetti di educazione alimentare a scuola, che ha lavorato anche all’interno di uno dei progetti di maggiore successo (Pappa-fish) dove qualità della mensa ed educazione alimentare sono andati a braccetto. A Cristina Manzini abbiamo rivolto alcune domande per chiarire il concetto di educazione alimentare a scuola e il ruolo delle insegnanti. Crediamo sia importante aprire ad un confronto su questi temi con chi ha la competenza e l’esperienza per dare una visione corretta delle potenzialità della mensa all’interno del percorso didattico.
La corte di Cassazione con la sentenza del 30 luglio scorso sottolinea che “il “tempo mensa” è parte del “tempo scuola”, quindi un pasto in condivisione – che rappresenta un importante momento educativo (all’alimentazione sana) e di socializzazione (i.e. consumare il pasto “insieme”), in condizioni di uguaglianza”. Condivide questa affermazione? Il fatto di mangiare insieme tutti lo stesso cibo può essere considerato un valore?
La mensa scolastica è da considerarsi un luogo con un potenziale altamente educativo così come, tutte le altre ristorazioni in cui l’appartenenza tra i soggetti è continuativa e significativa dal punto di vista affettivo e relazionale (famiglia, comunità residenziali, case di riposo ecc.). Mi spiego meglio, l’ educazione alimentare non è qualcosa che riguarda solo cosa mangio, altrimenti potrebbe essere giusto il principio dell’ autodeterminazione da parte della famiglia, il momento del pasto abbraccia dimensioni che vanno ben oltre al cibo: cultura, tradizioni, affetti, relazioni, emozioni. Per andare un po’ alle origini, ricordiamo che il primissimo atto d’amore e di relazione, ha come tramite il cibo. Una madre o un caregiver mentre da il latte al neonato lo nutre nel cibo, nell’ affetto e nellla relazione. Questo paradigma rimane inalterato nel tempo. Di conseguenza possiamo intuire quanto il cibo sia fortemente influenzato dai fattori psicologici. Ma molto altro accade: nei primi mesi di vita, il bambino impara attraverso l’ assenza del cibo a sopportare la frustrazione, intuisce e fa suo un sistema di regole che gli permetteranno di organizzare il proprio Sè e il mondo circostante. Il bambino vive le emozioni della convivialià del pasto e comprende sin da piccolissimo quanto “potere” esercita all’ interno del nucleo familiare ristretto ed allargato. Tanti genitori hanno sperimentato l’impotenza davanti al rifiuto del figlio fino a scendere a compromessi indicibili, pur di veder mangiare il proprio bambino. Con l’ingresso al Nido e/o alla Scuola d’ Infanzia il cibo diventa “sociale” ed acquista maggiormente la dimensione di relazione amicale e ludica. Il cibo a scuola è relazione, relazione con il gruppo dei pari e con gli insegnanti. È abbastanza comune incontrare dei genitori increduli per il fatto che i figli a scuola riescono a mangiare cibi che a casa sono comunemente rifiutati o scoprire nei più piccoli l’autonomia nel mangiare da soli cibi di diverse consistenze con l’uso delle posate. È come se il momento del pasto si spogliasse delle dimensioni psicologiche familiari, lo stare insieme vince su tutti gli altri aspetti: il cibo è uguale per tutti non si può scegliere, così come non si scelgono i tempi ed i modi del pasto. Inoltre a mensa i bambini hanno la possibilità di mangiare un pasto completo composto da tutte le portate e la ricchezza della diversità alimentare è anche una ricchezza per la salute fisica ed emotiva.
La scuola deve aver cura di un momento educativo così importante, l’attenzione è nel cibo e in tutti gli altri fattori che rendono il pasto un atto educativo. In una ricerca svolta circa 4 anni fa sul benessere a mensa (SANPEI II – Sano come un pesce biologico italiano, Fase II” CNR CERIS nell’ambito del progetto di ricerca e divulgazione” – anno 2014/15 Scuola dell’ infanzia e Primaria E. Medi del Comune di Porto Recanati), i bambini hanno identificato con chiarezza i fattori che danno benessere e i fattori di stress o che non piacciono. In generale il pranzo, soprattutto nella primaria, è anche riposo dall’attività didattica e gioia di stare insieme. Del resto la pausa didattica è sempre associata al cibo a partire dalla ricreazione.
Cosa influisce il consumo il consumo del pasto e quale deve essere il contributo delle insegnanti in mensa?
I bambini sono attenti osservatori dei fattori ambientali, i tavoli, i posti, l’apparecchio e il tipo di preparazioni del cibo. Un bell’ambiente rende più piacevole lo stare a tavola: piatti e posate non monouso, tovaglie colorate, tavoli disposti in modo che l’insegnante possa sedere vicino ai suoi alunni, cibi caldi e non scotti, porzioni equilibrate e cibi sani e ben preparati, pareti insonorizzate. Per i bambini la più grande forma di stress a tavola è il rumore e purtroppo c’è pochissima attenzione per questa condizione ambientale. Gli insegnanti sono le principali figure educative. Il loro atteggiamento a mensa è il primo fattore educativo, come del resto in famiglia, in cui le figure genitoriali sono determinati per il cosa e come si mangia. Nella mia esperienza con la scuola e con i progetti di educazione alimentare ho incontrato numerose classi anche nel momento della mensa, gli insegnanti disattenti o con difficoltà alimentari di solito non sono interessati a ciò che avviene a tavola e i bambini, in particolare quelli con delle difficoltà nel rapporto con il cibo non trovano il giusto sostegno. In alcune situazioni gli insegnanti colludono involontariamente con i bambini rispetto a particolari alimenti come ad esempio il pesce ed i legumii mantenendo e rinforzando l’atteggiamento di rifiuto. L’ insegnante deve essere preparato a leggere le dinamiche del gruppo classe nel momento del pasto ad esempio saper riconoscere gli atteggiamenti di rifiuto di alcuni bambini che hanno il potere di influenzare il resto del gruppo classe. Qualche anno fa, ho potuto costatare direttamente come l’opinione di un paio di bambini abbia influenzato negativamente quasi tutto il gruppo classe che invece fino a quel momento non mostrava insoddisfazione per ciò che mangiava. In queste situazioni solo l’insegnante riesce a ristabilire un comportamento corretto, in quella giornata le polpette di pesce della classe terza sono finite nella spazzatura. E’ compito degli insegnanti educare alla riduzione degli scarti, a controllare le giuste porzioni a restituire un valore culturale al cibo e così favorire l’incontro con altre tradizioni e culture del nostro e di altri Paesi.
Ma come si fa a far mangiare il pesce, i legumi e le verdure ai bambini e a scuola?
Sin qui ho descritto quelli che sono i principi fondamentali dell’atto educativo a mensa, penso che se gli insegnanti fossero preparati ad osservarsi, osservare, capire e saper intervenire molte difficoltà di selettività alimentare e tanti disequilibri alimentari potrebbero trovare una soluzione. Certo a volte non è sufficiente né la preparazione né la buona volontà degli insegnanti per far mangiare ai bambini i legumi, il pesce e le verdure. Questi sono gli spauracchi di quasi tutti i bambini, i progetti di educazione alimentare forse rappresentano la strada principale per cambiare gli atteggiamenti di rifiuto. I progetti educativi, come indicato dal MIUR, sono esperienze attive in cui il bambino ed insegnanti sono i protagonisti delle conoscenze. Per realizzare un reale cambiamento è quindi necessario coinvolgere tutti, ma proprio tutti i soggetti che partecipano al pasto: bambini, insegnanti, cuochi, personale ausiliario della mensa, ditte di ristorazione e genitori. Si comprende subito di quanti piani d’intervento necessita un buon progetto educativo: incontri di formazioni con insegnanti e genitori, supporto ai cuochi ed al personale ed un percorso educativo specifico da attuare con il gruppo classe.
Da cosa partire per avviare un progetto efficace di educazione alimentare?
Innanzitutto si deve partire dalla cucina, non si può pensare ad un discorso educativo se non si ha la possibilità d’intervenire sulla cucina e sulle ricette. Quando si parla di pesce e legumi è necessario capire da quale prodotto partire e quale ricetta può essere maggiormente gradita ai bambini. Oltre alla ricetta è importante la presentazione del piatto (impiattamento). Nell’ esperienza fatta con il progetto Pappa Fish abbiamo visto quanto siano determinanti queste variabili. I bambini gradivano le polpette di pesce piccole come una noce, come si superava quella dimensione aumentavano gli scarti. Gli hamburger di pesce riscuotevano successo se accompagnati da una salsa o dal panino del sandwich e così via. Sono fattori percettivi che hanno una forte influenza sul gusto. Sabbiamo con certezza che il gusto è dato da una somma di fattori che coinvolgono tutti i sensi (ciò che vedo, ciò che ascolto, ciò che tocco, e ciò che assaporo) e dal clima emotivo presente al momento del pasto ( ciò che vivo).
L’educazione si fa solo in mensa o anche in classe?
Il lavoro educativo da fare in aula con il gruppo classe è fondamentale e deve essere sinergico con quello che si preparerà a mensa. Il progetto Pappa Fish avendo una così lunga continuità temporale e offerendo la possibilità di un intervento su numerosissime classi della scuola d’infanzia e primaria, ha dato modo di costruire un modello educativo stabile e ripetibile. La metodologia è stata messa a punto di anno in anno per arrivare ad un percorso di storytelling in cui i bambini e gli insegnanti sono i protagonisti attivi della narrazione. Lo storytelling percorre un canovaccio specifico per ogni cibo che si va ad incontrare, sul canevaccio narrativo si susseguono le esperienze laboratoriali che fanno immergere il bambino in una dimensione tra l’immaginario ed il reale. Ovviamente l’obiettivo finale è far mangiare al bambino l’alimento oggetto del percorso educativo. I bambini sono educati senza mai parlare di educazione alimentare. Lo storytelling permette la costruzione di un luogo che è altro da quello che solitamente si vive scuola, non ci sono apprendimenti ma delle avventure da realizzare e da vivere. La risposta dei bambini è straordinaria, la quasi totalità dei bambini del percorso educativo ha mangiato la ricetta da loro cucinata che poi sarà inserita all’interno del menu scolastico.
Ecco, secondo la mia esperienza questa è un’educazione alimentare che raggiunge degli obiettivi stabili. Durante ad un buon percorso educativo è possibile parlare di tutto ( tradizioni, cultura, giusta alimentazione…) senza far sentire il peso di un’altra disciplina d’apprendere. Il mangiare si vive non si apprende.
A scuola registriamo due grandi problemi legati all’alimentazione: l’obesità infantile e la selettività alimentare. La mensa può fare qualcosa in merito?
L’ obesità infantile è un disturbo complesso perché sono diverse le componenti che lo generano. È un disturbo e come tale merita un’attenzione a livello medico e psicologico. La scuola può aiutare molto, ma non basta per risolvere. Mentre più nascosto, ma sempre più frequente, è la selettività alimentare, se ne parla pochissimo perché i bambini apparentemente crescono bene anche se assumono pochissimi tipi di alimenti. La selettività però nel tempo da problemi di salute fisica e psichica. La scuola può fare tantissimo, l’intervento fatto nel gruppo classe ha un grosso potere di cambiamento sulla selettività. Il gruppo riesce a rompere delle rigidità alimentari che in famiglia risultano intoccabili.