Food policy a Roma, genesi e prospettive

Il Prof. Davide Marino con il Comitato Promotore (foto di Giampiero Mazzocchi)

Il 27 aprile è stata approvata la delibera che mette le basi della food policy di Roma Capitale. Non un progetto calato dall’alto, come è avvenuto in molte città metropolitane, ma una food policy che è il risultato di un percorso partecipativo che ha raccolto il contributo di movimenti, associazioni, reti, ma anche di esperti del mondo accademico da riunire all’interno di un organo democratico come il Consiglio del Cibo. La delibera, infatti, istituisce una consulta cittadina del cibo e impegna la giunta a redigere entro tre mesi un proprio Piano del Cibo, cioè un documento strategico chedefinisce la visione, i principi e le linee guida da seguire nei processi decisionali e nelle pratiche, e che traccia gli orientamenti e le azioni concrete necessarie a garantire a tutti i cittadini di Roma Capitale l’accesso a cibo sano, nutriente, ecologicamente ed eticamente sostenibile .
Abbiamo voluto ricostruire questo percorso, iniziato nel 2019 che ha portato ad un risultato straordinario grazie alla forza e coesione di un Comitato promotore nato solo due anni fa. E’ stato il professore di economia, Davide Marino, che conosce bene Roma, le sue peculiarità, ma anche i modelli di food policy nel mondo a lanciare questa idea. Oltre alla competenza, il prof. Marino ha avuto la capacità di coagulare intorno alla sua visione tante persone, tra cui Salvatore Stingo, l’inventore dell’agricoltura sociale in Italia e Presidente della cooperativa Capodarco, attivista all’interno del Comitato promotore della food policy. Li abbiamo intervistati entrambi per capire meglio cos’è una food policy, perché è importante che Roma abbia la sua politica del cibo partecipata e quali prospettive si svilupperanno a breve a partire dalla delibera.

VANTAGGI DELLA FOOD POLICY
Abbiamo chiesto al Professore Davide Marino a cosa serve una Food Policy e che vantaggi porta?
Se una Food Policy funziona, se è ben strutturata dal punto di vista della governance, i vantaggi sono quelli di lavorare in maniera integrata su un tema che generalmente viene affrontato molto in maniera separata. Prendiamo l’esempio delle mense scolastiche, all’interno delle quali si punta a far mangiare bene i bambini, aspetto che può avere un impatto, potenziale, sulla salute, sull’accesso al cibo, sull’educazione alimentare. Normalmente in un’Amministrazione pubblica c’è l’Assessore che lavora ‘sulle mense’ poi c’è l’Assessore che lavora sulla sanità e poi ancora c’è l’Assessore  che lavora sui temi sociali. Con una Food Policy questi tre assessori siedono attorno ad uno stesso tavolo e discutono insieme di mense, salute e magari di aspetti che riguardano la povertà alimentare con un approccio integrato che rende gli interventi più efficaci. La Food Policy permette di avere una visione d’insieme dei temi che riguardano il cibo, che è un argomento complesso con ricadute su aspetti amministrativi, sociali, politici, economici, ma anche ambientali. Avere una politica del cibo significa lavorare in maniera integrata e, secondo la mia prospettiva, anche in maniera partecipata. Altre Food Policy, come quella di Milano, per esempio, non ha un Consiglio del cibo e non valorizza la partecipazione  che invece qui a Roma è un elemento essenziale.

GENESI DELLA FOOD POLICY ROMANA
Come è stata la genesi di questa delibera? Il punto di partenza è stato quello di riconoscere i punti di forza di Roma. Avendo lavorato sull’agricoltura urbana di Roma e su altri elementi che caratterizzano questa città è evidente che ci sono una serie di cose interessanti che funzionano bene: le mense scolastiche, l’agricoltura urbana multifunzionale molto forte, i mercati rionali, il bando sulle terre pubbliche.
L’idea è stata quella di ‘unire i puntini’,  mappando queste peculiarità di Roma che funzionano, metterle assieme, senza perdere di vista gli aspetti negativi come il consumo di suolo e gli stessi mercati rionali che sono decadenti.  
Siamo partiti da un lavoro che avevamo già fatto dal punto di vista scientifico che si chiamava ‘agricoltura, cibo, città’ che ha preso in considerazione anche i vari modelli di food policy in Italia e nel mondo. Ma il nostro percorso che ci ha portato a questo risultato è stato originale.
 
Qualche anno fa  si era aperto un dialogo con due assessori della Giunta Marino, con cui ho iniziato a ragionare sui farmer market, sulla filiera corta, e si iniziava a vedere un approccio strategico, sistemico e complesso. Parallelamente cominciavano a diffondersi le prime Food Policy italiane come Milano, Livorno, Torino e ho iniziato a pensare che i tempi fossero maturi anche per Roma.
Con l’approvazione, 3 anni fa, della legge sui distretti del cibo, che sta funzionando, ho iniziato a coinvolgere altri soggetti che potevano essere interessati a condividere l’idea di una Food Policy a Roma. Ho contattato una cooperativa agricola, che ha inventato l’agricoltura sociale in Italia, che è la Comunità di Capodarco con Salvatore Stingo con cui ho condiviso questa idea che abbiamo portato avanti insieme. Siamo partiti io e lui e abbiamo coinvolto prima un’associazione, poi un’altra ancora, e così via.  Nel frattempo abbiamo elaborato il documento che era la nostra proposta di Food Policy per Roma intorno alla quale abbiamo coagulato l’interesse di diverse associazioni, movimenti, ricercatori, ma anche singole persone che mostravano interesse per questo tema. Un lavoro che ha funzionato quasi con un passaparola. In questo percorso è stato determinante l’evento pubblico che abbiamo organizzato il 16 ottobre del 2019, che coincideva con la giornata mondiale dell’alimentazione, a cui abbiamo invitato svariate persone di mondi diversi, associazionismo, sindacati, movimenti, ricercatori, ma anche personalità politiche della Regione e del Comune a cui abbiamo presentato il nostro documento. Questo evento è stato il punto di svolta perché in quell’occasione un consigliere del Comune di Roma, che coordina il tavolo ambiente, ha dichiarato pubblicamente che di quel testo avrebbe voluto farne una delibera e portare avanti l’idea di una food policy romana con il suo consiglio del cibo. A quel punto con la commissione ambiente e la commissione commercio abbiamo scritto la delibera che è poi è stata approvata dopo un annetto di pressioni.


DEMOCRAZIA DEL CIBO
Una food policy che a Roma nasce dal basso attraverso un Comitato Promotore che prevede la costituzione di un organo democratico come il Consiglio del cibo, come funzionerà? Abbiamo lavorato alla proposta di food policy e di delibera come Comitato Promotore. Successivamente ci siamo detti di evolverci in un Consiglio del Cibo indipendentemente da quello che sarebbe successo con la delibera. Oggettivamente, lo abbiamo affermato, ma non realmente praticato.
La delibera parla di un Consiglio sotto forma di Consulta comunale, quindi indipendente ma istituzionalizzata. Che succederà? il Consiglio auto-nominatosi defluirà nella Consulta? rimarrà un ambito di discussione e confronto indipendente? Francamente non lo so … a me piacerebbe il secondo modello ma mi rendo conto che è difficile.

Rappresentanti delle associazioni e movimenti del Comitato Promotore il giorno dell’approvazione della delibera

OPPORTUNITA’ E RISCHI
Cosa si aspetta succederà a breve? Ora secondo la delibera entro 3 mesi bisognerebbe realizzare il piano del cibo, un tempo che mi sembra un po’ ristretto per un obiettivo così ambizioso a meno che l’amministrazione attuale voglia fare qualche approssimazione. Ma c’è anche una situazione un po’ ingarbugliata che si sovrappone alla nostra delibera che bisogna districare. Questo perché nel frattempo l’Amministrazione di Roma ha mandato avanti un piano strategico per il settore agrifood e, ancora, parallelamente ha partecipato ad Horizon 2020, (il Programma Quadro dell’Unione Europea per la ricerca e l’innovazione) ed ha vinto con il progetto Fusilli che ha come obiettivo proprio quello di fare il piano del cibo e il consiglio il cibo. Il progetto Fusilli prevede una durata di 4 anni entro i quali deve scrivere il piano del cibo mentre la delibera parla di 3 mesi. Quindi bisognerebbe armonizzare il lasso temporale di riferimento. Il rischio maggiore, tuttavia, è che qualcuno all’interno del Comune faccia passare il piano strategico Agrifood come il ‘piano del cibo’. Se viene fatta questa equazione sarà una grande sconfitta.

LA FOOD POLICY PARTECIPATA
La partecipazione è stato ed è un valore distintivo della (futura) Food Policy di Roma, che ha visto la partecipazione di associazioni,  come Terra!, RESS Roma, Slow Food Roma, Assobotteghe, Cooperativa Coraggio, Refoodgees, Banco Alimentare, Terra Nuova, Romasalvacibo, ed esperti del mondo accademico, con ricercatori come Daniele Fattibene, (IAL, Fondazione Barilla) Francesca Giarè e Roberta Sardone, Giampiero Mazzocchi (CREA), Dalia Mattioni (FAO – Università di Cardiff).

Abbiamo chiesto a Salvatore Stingo come vede questa alleanza che si è creata all’interno del Comitato Promotore della food policy di Roma. Ritrovare nuove formule di  partecipazione sarà il valore distintivo oggi necessario alla politica  per amministrare le nostre città, città composte di sistemi complessi che richiedono strategie complesse, dove i piani e gli argomenti si fondano e si uniscono, città e campagna, cibo e salute, welfare ed sviluppo economico. La food policy rappresenta questa complessità che può essere affrontata e sviluppata attraverso l’apporto costruttivo della grande rete che da tempo  a Roma, e non solo, si occupa degli innumerevoli temi che la compongono, una rete fatta di cittadini, di ricercatori, di associazioni enti cooperative  e che il professor Marino è stato così bravo ad aggregare. La delibera di Roma è un primo passo importante  che dobbiamo esportare anche a livello regionale cercando in particolare di coinvolgere il tessuto produttivo agricolo con le sue innumerevoli aziende.  

Cooperativa Agricola Sociale Capodarco – Roma

La partecipazione nella costruzione della food policy di Roma di associazioni, movimenti e reti, ha in sé il germe della crescita che potrà essere motore di innovazione per la città. Il coinvolgimento della cittadinanza chiamata ad un percorso di consapevolezza e ad operare delle scelte sarà in grado di elevare tutti i soggetti ad esprimersi in una democrazia culturale che passa dal cibo, e attraverso il cibo costruire ‘comunità’. Ecco, allora, che la sostenibilità si potrà articolare in tutte le sue facce: dalla biodiversità, alla lotta alla povertà alimentare, la riduzione dell’impatto ambientale del cibo, la riduzione e recupero degli scarti, l’educazione alimentare a scuola, ecc. La vera sfida sarà tenere viva e coesa la società civile affinché si alimenti di conoscenza e si esprima con consapevolezza e lungimiranza.