Milano VS Cremona, modelli di mensa a confronto

A Milano si esalta la cucina industriale, quella dove lavorano soprattutto le macchine, si punta a sviluppare self service nei refettorie e il piatto preferito è la pasta in bianco. Il gusto non è rilevante. E’ quanto emerge dall’indagine della Procura scattata dopo un esposto alla magistratura presentato quasi due anni fa dal Codacons a seguito di ‘qualche “piccolo” inconveniente” che sarebbe considerato fisiologico’ visto i grandi numeri. Quello che agli atti, nella relazione sottoposta al Magistrato, è che «il dato relativo al gradimento del pasto» si legge in un articolo pubblicato sul IlGiorno lo scorso 22 ottobre “sembrerebbe «non sia considerato dall’azienda come una delle basi per un apprezzabile miglioramento del servizio». A Milano ‘sembrerebbe‘, probabilmente, che non si punti al gusto, ma all’efficienza. Su questo aspetto si possono fare mille considerazioni, ma ci limitiamo ad un’evidenza: i bambini milanesi non sono educati al gusto e al piacere del cibo.

Cremona è un modello antitetico a quello di Milano. Qui ci sono cucine a misura d’uomo, cuochi che fanno formazione continua e insegnanti che in mensa hanno l’opportunità di invogliare i bambini all’assaggio e al consumo del pasto.  I bambini di Cremona plasmano il proprio profilo sensoriale intorno a cibi freschi, (biologici al 60%) e piatti sani con un apprezzamento del servizio che viaggia oltre il 90%, dato rilevato nelle scuole dell’infanzia grazie ai questionari di gradimento compilati dalle famiglie a fine anno scolastico e rielaborati dal Comune.

Non è solo questione di cura dei piatti, come può essere per una lasagna preparata dai cuochi con tutti i sacri crismi della gastronomia tradizionale, ma è anche la varietà delle ricette, visto che a Cremona c’è  la possibilità di scegliere tra due menu: uno ‘standard’ e uno ‘alternativo’ più orientato alla ‘prevenzione’, con piatti originali che hanno l’obiettivo di invogliare il consumo delle verdure in mensa. Questo l’intento di Silvia Bardelli, la regista della mensa di Cremona, che dopo aver vinto il primo Rating (e il secondo nel 2018) dei menù nel 2017 ha chiesto ai cuochi uno sforzo maggiore per aggiungere un altro menù alternativo che sia i bambini che le insegnanti possono scegliere.

Nell’intervista realizzata da Elena Caminati di zerocinque23 Silvia Bardelli spiega lo spirito e la filosofia che sottintende la mensa di Cremona che rimane un modello di qualità in forte contrasto rispetto a tutte quelle realtà italiane che pensano alla mensa come ad una commodity.

A Cremona il servizio di ristorazione scolastica ha delle caratteristiche peculiari: è un servizio che rientra nelle politiche educative del Comune, i cuochi e le cucine sono il cuore del servizio, i maestri sono preziosi alleati e gli obiettivi sono molteplici. Si punta alla salute dei bambini, alla valorizzazione del lavoro e allo sviluppo del tessuto sociale che ruota intorno all’istituzione scolastica fatto d’insegnanti, famiglie e produttori anche locali. Una vera food policy a 360°.

Milano e Cremona rappresentano due visioni contrapposte del servizio mensa, anche se è facile contestare un confronto impossibile per le dimensioni così distanti tra le due città. Eppure c’è una realtà molto più grande di Milano che aveva la stessa visione di Cremona fino a qualche anno fa. Si tratta del modello originario della mensa di Roma che si fondava proprio sull’idea di tante ‘piccole Cremona’ all’interno della metropoli: un territorio diviso in tanti lotti, ciascuno con un fornitore diverso, preservando le cucine interne alle scuole (che a Roma sono 450!), i cuochi, le dietiste e i controlli di soggetti esterni specializzati in analisi di laboratorio. Un modello che, purtroppo, si sta silenziosamente smontando, (link intervista a dietista di Roma) ma che è stato annoverato tra le best practices a livello europeo.

Di fronte a questo panorama così disomogeneo sorgono spontanee alcune domande:  si può ancora parlare di valenza educativa e sociale della ristorazione scolastica in tutta Italia? la mensa è l’occasione per investire sulla salute pubblica e sull’economia del territorio o è uno strumento per fare profitto? I genitori possono ancora sognare una mensa migliore o devono arrendersi al cibo ‘industriale’?