Gli sprechi nella giornata dell’alimentazione [in mensa]

Gli sprechi nella giornata dell'alimentazione [in mensa]Vorremmo celebrare la giornata mondiale dell’alimentazione tutti i giorni per ricordare l’importanza del mangiare sano e sostenibile soprattutto a partire dai primi anni di vita. Ma non è della salute su cui vorremmo focalizzarci, ma sul fatto che circa metà dei bambini che mangiano in mensa, in realtà non mangiano e producono una grande quantità di spreco di cibo.

O meglio, una piccola parte mangia tutto, qualcuno mangia circa la metà del pasto, alcuni mangiano solo pasta in bianco e pane, e altri non mangiano quasi nulla. Lo dicono le nostre rilevazioni che raccolgono la prospettiva di chi è presente durante il pasto in mensa: il 47% degli insegnanti afferma che i bambini mangiano meno della metà del pasto e solo il 7% che mangia tutto. Ce lo confermano spesso anche i genitori che con noi dialogano. Addirittura un papà, che fa parte del Consiglio d’Istituto della scuola di sua figlia, ci ha riferito che durante un consiglio all’interno del quale si è dibattuto del tema ‘mensa’ la risposta degli insegnanti è stata che era inutile discuterne perché ‘tanto si sa che i bambini non mangiano in mensa’. Siamo arrivati al punto che anche la scuola si è arresa.

IL RUOLO EDUCATIVO DELLA SCUOLA NELLA PREVENZIONE DEGLI SPRECHI

La scuola ‘maestra’ che dovrebbe educare al valore del cib, e spingere gli insegnanti ad accompagnarne il consumo del pasto, non lo fa più. Eppure le Linee di indirizzo della ristorazione scolastica lo richiedono esplicitamente. Compito degli insegnanti è quello di  ‘contribuire ed incentivare il consumo dei cibi meno apprezzati o conosciuti’ e di  ‘essere presenti attivamente e realizzare attività di educazione alimentare ricorrendo a metodologie didattiche adatte alle diverse età’, perché la mensa è a pieno titolo ‘tempo scuola’ e non una pausa pranzo.

TANTE CAUSE DA IDENTIFICARE PER RICONOSCERE IL PROBLEMA DEGLI SPRECHI

Le cause del rifiuto del cibo a scuola sono tantissime e spesso concatenate: il pasto non è cucinato bene, gli ingredienti usati sono di cattiva qualità, i piatti freddi, la porzione servita è troppa e l’aspetto non invitante; ma ci sono anche logiche organizzative che incidono, come l’uso dei piatti usa e getta o il vassoio di plastica, posate e pane impacchettati nella plastica il refettorio rumoroso e affollato, il cibo cotto la mattina alle 8 e servito dopo 4 ore, la merendina (o merendona) delle 10:30 quando poi si mangia alle 12:00, . Per non parlare degli aspetti culturali e sociali che vedono bambini sempre più distanti da cibi che non conoscono perché a casa  si mangiano soprattutto cibi processati e pronti al consumo.

PARTIRE DALLA MISURAZIONE DEGLI SCARTI DI CIBO

Ogni Comune ha la sua realtà da leggere e interpretare, ma il punto è che non lo fa nessuno. Nessuno misura in maniera sistematica gli avanzi in mensa, cerca di capire e discutere le ragioni del rifiuto al consumo del pasto e, di conseguenza, intraprendere iniziative mirate. Non lo si fa perché è scomodo. Per il fornitore è fastidioso ammettere che una buona parte del cibo che prepara viene scartato; per il Comune, che fa pagare un servizio che in buona parte non va a buon fine, è un’ammissione scomoda. Misurare gli scarti sarebbe già un primo passo per riconoscere il problema. Ma quanto diventa impegnativo, poi, intraprendere azioni cha richiedono uno sforzo di cambiamento da parte di tutti e magari per qualcuno va contro i propri interessi?

TRE MOTIVAZIONI BASE PER FARSI CARICO DEL PROBLEMA DEGLI SPRECHI

Diamo solo 3 semplici motivazioni che devono spingere le istituzioni ad affrontare il problema.

  1. lo spreco di cibo produce l’8% di emissioni di gas serra che contribuiscono ai cambiamenti climatici
  2. la malnutrizione dei bambini
  3. L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, al punto 12 ‘Consumo responsabile’ richiede di cambiare il modello attuale di produzione e di consumo per ottenere una gestione efficiente delle risorse naturali mettendo in moto, tra le varie cose, processi per l’azzeramento degli scarti alimentari (che sono energivori oltre a consumare terra e acqua) e la diminuzione, degli sprechi in generale.

DAL RIFIUTO DEL PASTO IN MENSA AL RISCHIO DI OBESITA’ INFANTILE

Su questo ultimo aspetto vorremmo focalizzare l’attenzione dei pediatri perché in quelle mense dove è risaputo che i bambini non mangiano vi è il reale rischio di un incremento dell’obesità infantile. Lo vediamo quando i bambini non mangiano in mensa e, di conseguenza, i genitori si preoccupano, quindi li aspettano fuori da scuola con una grande merenda che li placa e li sazia pregiudicando il consumo della cena. Poi, il giorno dopo, c’è la colazione  e un’altra mega merenda a metà mattina perché si sa che il pasto in mensa verrà rifiutato. Questo ciclo sposta alle 2 merende, quella di metà mattina e del pomeriggio, la maggiore quantità di cibo consumato da parte dei bambini a discapito di quelli che dovrebbero essere i pasti più importanti, pranzo e cena, con tutti gli apporti nutritivi differenziati in carboidrati, proteine, fibre, vitamine ecc.. In questo loop vincono le merendine o i panini con hamburger, sandwich con prosciutto e quanto gratifica di più i bambini.

LA PASTA IN BIANCO SIMBOLO DEL DECLINO DELLA MENSA

Il risultato è che si è  persa fiducia nel pasto servito a scuola. Questa mancanza di fiducia che è il risultato di un lungo processo che ha portato a chiudere le cucine, a non vedere più i cuochi, a non sentire più il profumo del cibo sostituito da pasti sempre più plastificati, si esprime anche nel consumo privilegiato della pasta in bianco. Un piatto, la pasta in bianco, che è il simbolo di questo declino della mensa di questi anni, ma anche, in generale, dell’alimentazione all’interno delle famiglie. La pasta in bianco è uno dei piatti molto frequenti all’interno di quei menu che non puntano alla biodiversità, ma educano ad un gusto piatto, monotono, sempre con la stessa consistenza. Si tratta di un  piatto che per i bambini è rassicurante,  è un comfort food, è assenza di rischio, ma è anche distacco dalla realtà, assenza di emozione, assenza di relazione, ed è tanto comodo a tutti. E’ un piatto gradito ai cuochi perché è facile e veloce, ottiene sempre ampia accettazione e costa poco in termini di tempo, impegno e materia prima; per i bambini è una certezza di consumo; per le famiglie è la garanzia che il bambino uscirà da scuola con la pancia piena. Quindi va bene a tutti.

DAL PROBLEMA DEGLI SCARTI ALLA MALNUTRIZIONE

Ma questo pone alcuni problemi: quando si offre così frequentemente la pasta in bianco priviamo il corpo dei bambini di una varietà di nutrienti importanti che contribuiscono a costruire il  un sistema immunitario che si sviluppa proprio entro i primi 15/20 anni di vita. Quindi mangiare sempre lo stesso piatto con pochi nutrienti significa anche indebolirlo e renderlo più fragile, più esposto a virus e a patologie sia da piccolo che da adulto. In secondo luogo diseduchiamo il palato dei bambini a nuovi gusti, mentre  il nostro compito, di genitori e ma anche di responsabili delle mense scolastiche è quello di aprire il ventaglio di consistenze e colori ed esporre i bambini all’esperienza di cibi diversi, collegati al territorio al flusso delle stagioni. Esporre i bambini a una biodiversità alimentare è come esporli alla vita. Il cibo è colore è emozione, è relazione con il tempo, è attesa delle stagioni. Rinunciare alla biodiversità del menù e all’educazione al gusto dei bambini vuol dire perdere garanzie di salute per il futuro.

CALL TO ACTION

Per questo nella giornata mondiale dell’alimentazione chiediamo alle istituzioni, quindi ai Comuni che sono responsabili del servizio di ristorazione scolastica, di affrontare il problema del food waste per recuperare il senso del mangiare a scuola, responsabilizzando tutti: le aziende di ristorazione, i cuochi, gli sporzionatori, gli insegnanti, le famiglie, i bambini. Solo affrontando il problema insieme, guardando a prospettive diverse ma condividendo valori comuni, si riescono a sciogliere i nodi e a trasformare un problema in una opportunità:  sensibilizzare, fare cultura e fare fronte comune per costruire una comunità intorno alla scuola che sia capace di essere protagonista di cambiamenti virtuosi per la salute dei bambini e dell’ambiente.