Tre sfide per la giornata mondiale della terra

Un sistema alimentare che si basa su prodotti plastificati che vengono da sempre più lontano, che promuove tanta carne e piatti processati, sempre più ricchi di additivi e meno di nutrienti, non solo ci ha resi più fragili, ma ha impoverito il suolo e inquinato l’atmosfera.  Oggi nella giornata mondiale della terra, levento green che coinvolge circa un miliardo di persone nel mondo con iniziative a tutela del pianeta, proponiamo la nostra sfida. Tre piccole iniziative da attuare oggi: no carne, no plastica, no avocado.

  1. Oggi non mangiamo carne, ma se non riusciamo proprio a farne a meno, almeno che sia biologica e non da allevamenti intensivi. Secondo la dieta Mediterranea dovremmo mangiare carne solo una volta alla settimana per stare bene in salute ma anche per non impattare sull’ambiente. L’industria della carne è responsabile del 18% delle emissioni globali di gas serra (più del settore dei trasporti). L’impatto cresce e si aggrava se si considera che i gas emessi nell’atmosfera dal settore zootecni­co alcuni dei quali sono più dannosi della CO2. Siamo passati da un consumo di 45 milioni di tonnellate del 1950, agli attuali 300 milioni di tonnellate. Per soddisfare la domanda di carne si è arrivati ad allevare ogni anno circa 70 miliardi di animali. Non si tratta più di animali che pascolano e vivono in contatto con la natura, ma di allevamenti intensivi. Quegli stessi allevamenti intensivi da cui partono i virus e le pandemie (maggiori informazioni sulla report Zoonotic Diseases, Human Health and Farm Animal Welfare.) Eliminando oggi, e in generale, riducendo il consumo di carne facciamo un gran bene all’ambiente. Se riduciamo e preferiamo il consumo di carne prodotta negli allevamenti estensivi, biologica, contribuiamo a diminuire la domanda di terra da coltivare per produrre mangimi per animali, rallentando la perdita di habitat e biodiversità, facendo meno pressione sugli ecosistemi, e, al contempo, riducendo la probabilità di diffusione di nuovi agenti patogeni.
  2. NO a cibo e ad acqua ‘plastificati’. Nel mondo, ogni anno, si producono circa 300 milioni di tonnellate di plastica; una produzione che è aumentata di venti volte nel giro di cinquant’anni. L’Italia è il primo Paese europeo per consumo pro capite di acqua in bottiglia di plastica (178 litri l’anno per abitante). La maggior parte della plastica usata in Europa è impiegata per imballaggi di cibi, bevande e vestiti. Meno del 15% è riciclata e la percentuale scende al 5% se si considera la plastica in generale. Nel complesso, quasi un terzo della plastica prodotta è lasciato nell’ambiente e spesso finisce negli oceani: il programma dell’Onu per l’Ambiente (Unep) parla di 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici riversati ogni anno negli oceani, 90% dei quali in forma di microplastica.
  3. NO a cibi modaioli come l’avocado. E’ un frutto che percorre circa 15mila chilometri per arrivare sugli scaffali dei nostri supermercati, in Italia. Negli ultimi dieci anni, l’importazioni di avocado è più che triplicata. Mentre si crede che l’avocado sia un super food che fa bene alla salute non si sa che per produrlo, soprattutto in maniera così intensiva, si fa male all’ambiente. Per produrre un solo chilo di avocado servono circa duemila litri d’acqua. Quattro volte in più rispetto alla quantità necessaria per un chilo di arance. In sud America la maggiore richiesta di avocado da parte dei paesi occidentali ha portato a deforestazioni, perdita di biodiversità e siccità a causa di fiumi che vengono prosciugati e deviati per irrigare una produzione così idrovora. Il danno è sia sull’ambiente che sulle popolazioni locali. L’impatto ambientale dell’avocado, sta condizionando la sopravvivenza delle popolazioni in Cile che si vendono costrette a lasciare la terra, ormai consumata. Se proprio non si riesce a fare a meno dell’avocado si può scegliere quello prodotto in Sicilia che viaggia un po’ di meno, anche se richiede comunque un consumo di risorse idriche importante.

Proponiamo poche azioni, semplici e consapevoli, che se applicate anche alla ristorazione pubblica potrebbero avere un grande impatto a tutela dell’ambiente riducendo la pressione sugli ecosistemi, rallentando la perdita di habitat e di biodiversità.