Food social gap e la mensa come canale di sostegno alle famiglie

povertà famiglie raddoppiataQuanto sia importante che la mensa rientri nelle politiche sociali dei Comuni si desume dai dati allarmanti sugli effetti della crisi economica nell’alimentazione. Secondo uno studio del Censis gli italiani hanno ridotto il consumo dei cibi più costosi e stanno modificando l’alimentazione per ridurre le spese. Quindi meno carne, pesce, ma anche meno frutta, verdura e pasta. Si chiama Food Social Gap: dimmi cosa mangi e ti dico di che ceto sei. Così succede che se una volta nel ceto medio dominava la dieta equilibrata dal punto di vista nutrizionale disponibile per tutti, nell’Italia della crisi economica le disuguaglianze si rilevano anche dai pasti. Nel periodo 2007-2015 la spesa alimentare delle famiglie italiane è diminuita in media del 12,2%, nelle famiglie operaie è crollata del 19,4% e in quelle con a capo un disoccupato del 28,9%.
Che il pasto a scuola sia un servizio accessibile con un pasto completo ed equilibrato diventa sempre più essenziale per le famiglie italiane. Ci sono bambini che la carne o il pesce li mangiano solo a scuola, o per i quali l’unico pasto della giornata è quello della mensa. Sono le insegnanti che segnalano i casi di povertà e si ritrovano a fare collette, anche di cibo, per sostenere le famiglie in difficoltà.
In questo contesto è necessario che le Amministrazioni ripensino la mensa come servizio sociale essenziale e quindi ad un costo accessibile a tutti e con servizi accessori a supporto. Si pensi, per esempio, alla possibilità per i bambini di riciclare pane e frutta che spesso vengono avanzati. Oppure, come fa già qualche Comune, dare la possibilità ai bambini di raccogliere il cibo non consumato da portare a casa. Piccole opportunità da gestire con sensibilità che per alcune famiglie potrebbero fare la differenza su cosa mangiare a cena.

Il tema delle tariffe della mensa diventa una discriminante in questo contesto. Ci sono realtà sensibili dove le Amministrazioni offrono una mensa di qualità, privilegiano il servizio con le cucine in loco, piuttosto che la cucina industriale con il pasto trasportato, e offrono il servizio ad un costo ‘politico’ con una tariffa massima che si aggira intorno ai 2,50 euro e ci sono comuni che arrivano a quasi triplicare questo valore, con pasto trasportato per tutti. Nel primo caso l’Amministrazione concepisce la mensa come canale per fare azioni di  politica sociale investendo risorse di bilancio per ridurre il costo a carico delle famiglie, nel secondo caso il Comune utilizza la mensa per fare cassa e chiudere i bilanci. Semplificando si potrebbe dire che per un Comune si parla di ‘cittadini‘ e per l’altro s’intendono ‘clienti‘.

Una riflessione sulla funzione sociale della mensa in questo particolare momento storico è d’obbligo, come è importante studiare altre azioni di supporto alle famiglie attraverso questo servizio che può diventare un fondamentale canale di sostegno.

Anche se, a prescindere da tutte queste riflessioni sulla particolare congiuntura economica, una domanda sorge spontanea: ma è etico lucrare sul cibo dei bambini a scuola?